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mercoledì 6 aprile 2011

"L'analisi della componente religiosa": un aspetto fondamentale del fenomeno migratorio.

Foto di ulisse2008v
Nella storia dell’umanità, ogni epoca si è caratterizzata per qualche fenomeno che ne ha contraddistinto i connotati e influenzato gli accadimenti successivi.
Certamente, questi nostri tempi saranno ricordati dalle future generazioni come quelli in cui enormimasse di popolazione hanno migrato da un continente all’altro alla disperata ricerca di condizioni di vita più dignitose. L’imponenza del fenomeno immigratorio è comprensibile dalla lettura di alcuni dati fondamentali. In Italia gli stranieri presenti sul nostro territorio nazionale sono quasi 4.000.000. Tra il mare di cifre, soggette a continue evoluzioni, un dato del fenomeno immigratorio merita particolare attenzione: i cristiani sono il 49% (oltre 1.500.000) i musulmani il 33,2% (oltre 1.000.000), le religioni orientali il 4,4,% (tra i 50 e i 100.000). Questi ultimi dati devono farci riflettere perché la storia di questi anni sta evidenziando come l’elemento religioso - con le sue forti ripercussioni sociali, culturali e politiche - vada sempre più assumendo un aspetto di primaria importanza in tutti i Continenti. Quindi, una particolare attenzione deve essere posta, anche in Italia, all’analisi dell’immigrazione su base religiosa.
Ma è evidente che la maggior parte dei precetti normo-religiosi delle popolazioni interessate dai flussi migratori sono talmente estranei alla nostra coscienza occidentale – così come si è venuta formando nel corso di molti secoli – da renderli assolutamente e radicalmente inaccettabili.
Allora ogni forma di convivenza è impossibile? Certamente no.
Bisogna trovare il giusto equilibrio tra il rispetto dell’identità propria e il riconoscimento di quella altrui. Così, da un lato, occorre saper apprezzare i valori della propria cultura e dall’altro è necessario riconoscere che ogni cultura implica anche dei limiti. Da qui, dunque, la necessità di riconoscere la legittima pluralità delle culture presenti in un Paese, compatibilmente, però, con la tutela di quei cardini da cui dipendono la pace sociale e la libertà dei cittadini. A questo punto è lecito domandarsi quale deve essere il rapporto tra la cultura della maggioranza e le culture delle minoranze. La via da percorrere è quella di un processo di integrazione che individui gli aspetti culturali comuni e compatibili, armonizzandoli successivamente in un contesto unitario e armonico. Ma l’integrazione, necessariamente progressiva, è cosa ben diversa dall’assimilazione: molti pensano, infatti, che l’immigrato si integra adattandosi al modello di vita locale, fino a diventare come tutti gli altri, a volte quasi trascurando le proprie radici culturali. L’assimilazione rappresenta, in fondo, un impoverimento anche della società d’accoglienza, perché il contributo culturale e umano dell’immigrato viene così minimizzato se non distrutto. E’ necessario, però, anche l’impegno dei migranti, che devono fare i passi necessari per essere inclusi nella società di destinazione, con l’apprendimento, per esempio, della lingua nazionale e l’adeguamento alle leggi e alle esigenze del lavoro.
Certamente l’integrazione non è una strada a senso unico: sia l’immigrato che la società di arrivo hanno la responsabilità di trovare le giuste modalità per realizzarla, impegnandosi nella reciproca conoscenza, giacché motore dell’integrazione è il dialogo. Senza un dialogo autentico, mosso dall’intimo desiderio di pervenire ad un reciproco rispetto, si andrà incontro ad un futuro, quantomeno, incerto per tutti.
Questa del dialogo – a condizione che sia “depurato” da quei terribili mali che si chiamano demagogia e ipocrisia – è un’occasione che la nostra società non può più permettersi di perdere, se vuole veramente gettare le fondamenta per un mondo più giusto e, quindi, più sereno per tutti.

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