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giovedì 7 aprile 2011

In quali mani è la custodia degli scavi di Pompei

In quali mani è la custodia degli scavi di Pompei Caro direttore, mia figlia è in quinta elementare, sta studiando l'Impero Romano, e così una bella giornata di sole primaverile ci ha fatto decidere di andare tutti a visitare gli scavi di Pompei; erano più di trent'anni che ci mancavo e anch'io sentivo l'emozione matura di una visita a una delle più preziose testimonianze della civiltà. 
In effetti è questa testimonianza che abbiamo ricevuto.

Tralascio la descrizione dell'esperienza legata all'arrivo, allo slalom tra parcheggiatori, ambulanti, pizzaioli e ristoratori che tenacemente cercavano di cooptare nuovi clienti. Paghiamo l'ingresso e riceviamo un librettino con una succinta descrizione delle domus principali. Ma non riceviamo la mappa degli scavi, cosa che rendeva il libretto del tutto inutilizzabile. Chiedo spiegazioni e mi si dice che purtroppo le mappe sono terminate.

È la mattina del primo sabato di primavera, non la sera dell'ultima domenica di autunno. Avrebbero dovuto esserci un milione di mappe per i turisti che stanno arrivando da tutto il mondo. Essendo napoletano, non mi lamento più di tanto.
Dunque la nostra visita ha inizio vagando come fantasmi senza meta tra le rovine. Tento di rispondere agli interrogativi delle mie figlie pur non avendo gli strumenti per farlo.

In lontananza vedo un uomo in divisa. La divisa, nonostante tutto, ancora mi rasserena. Mi avvicino. Ha tra 50 e 60 anni e indossa una divisa blu con sopra scritto "sicurezza", è un dipendente della soprintendenza, proprio quello che ci voleva, un uomo di Stato. Rispettoso gli chiedo se per cortesia può darci un consiglio su come orientarci, visto che non abbiamo una mappa. Lui si volta a destra, poi a sinistra, poi mi risponde: "Gliela do io la mappa" e tira fuori dalla tasca della divisa la cartina degli scavi che fa il paio con il mio libretto, con i numeri di ogni domus che combaciano con le descrizioni cui io avevo già accesso, pur non sapendo dove mi trovassi.

Lo ringrazio pensando a quanto sia importante avere la possibilità di rivolgersi alle istituzioni nei momenti di smarrimento. Lui si volta a destra, si volta a sinistra e a bassa voce, tirando fuori dal borsello un anello da carceriere con una cinquantina di grosse chiavi, mi dice: "Dottò, le domus più belle stanno chiuse. Le vulite vedè?". Lancio uno sguardo interrogativo a mia moglie. Se le voglio vedere? Certo che le voglio vedere, altrimenti perché sarei andato agli scavi di Pompei? Ci invita ad andare più avanti, girare l'angolo e aspettarlo lì. Dopo alcuni minuti si presenta con altri turisti smarriti, c'erano tre russi, due spagnoli e sei o sette padani. Si avvicina a me, probabilmente ritenendomi quello culturalmente più vicino a lui, e mi dice che avremmo dovuto entrare dalle porte dei servi e che doveva fare una telefonata perché i siti migliori "stanno allarmati".

Doveva far disattivare il sistema di allarme e di videosorveglianza.
Così vediamo cose incredibilmente belle e suggestive, le testimonianze perfettamente conservate della vita di duemila anni fa, un patrimonio che tutti i paesi del mondo ci invidiano, anche per la potenzialità che ha di produrre danaro. In una domus meravigliosa una piccola stanza era transennata, in terra c'era un mosaico composto da piccolissimi tasselli che riproduceva un Amorino e sulle pareti tanti affreschi perfettamente conservati sul fondo rosso pompeiano. L'uomo in divisa sposta le transenne e dice: "Trasite, trasite. Guardate che meraviglia, facite le fotografie, nun vi preoccupate". Oltre al fatto che il sito è ufficialmente chiuso e che quella stanza in particolare è transennata, c'è anche un evidente segnale che vieta di fotografare. Magari un affresco di duemila anni può subire danni se fotografato con il flash da un milione di turisti l'anno, magari un mosaico si rovina se calpestato da milioni di scarponi da trekking. Russi, spagnoli e padani approfittano dell'occasione e illuminano la memoria della nostra civiltà con i loro flash.

C'è da dire che nel giro turistico proposto dall'uomo della sicurezza abbiamo incrociato molti suoi colleghi, tutti con divisa e codazzi di turisti dalle molteplici origini. Alla fine del giro tutto il gruppo gli ha dato la "mazzetta", l'addetto alla sicurezza ha guadagnato dagli scavi di Pompei più della cassa che aveva terminato le mappe.
Scrivo queste cose sapendo di non aver rivelato nulla di nuovo, non c'è scoop nelle mie parole. E questo è ancora più grave. Ma non posso fare a meno di notare i seguenti punti.
L'agente di sicurezza (mensilità, tredicesima, quattordicesima, ferie, liquidazione e pensione) il cui mandato è proteggere un patrimonio dell'umanità inestimabile, usa il suo potere per permettere a coloro che lo pagano di infrangere le regole che è chiamato a difendere. I suoi superiori lo sanno (hanno disattivato il sistema di allarme) e dunque una percentuale delle mazzette andrà a loro che non credo corrano dei rischi senza ricavarne un utile.

Si intravede una struttura piramidale nella quale si entra da agenti e si esce da soprintendenti. Il processo prende avvio da una grave carenza organizzativa (non ci sono le mappe degli scavi). Cosa succederebbe se tutti i dipendenti dello Stato utilizzassero in questo modo il loro incarico? Se gli insegnanti si facessero pagare per promuovere studenti impreparati, i poliziotti per chiudere un occhio di fronte allo spaccio, i vigili urbani per lasciar lavorare i parcheggiatori abusivi? Che succederebbe se i politici utilizzassero il loro mandato trascurando gli interessi dei cittadini e usando il loro potere per fini propri?

Ancora nulla di nuovo. Mi domando: se un giovane disoccupato onesto miracolosamente fosse assunto dalla soprintendenza come agente di sicurezza degli scavi di Pompei, dopo quanto tempo comincerebbe a farsi pagare la mazzetta per aprire domus chiuse? Potrebbe esimersi dal farlo? Se volesse cocciutamente essere onesto siamo sicuri che sarebbe assunto?
Comunque devo dire che la passeggiata a Pompei ha soddisfatto pienamente le nostre aspettative, ora sì che le mie figlie sanno qualcosa in più sulla nostra civiltà.

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