Voler bene all’Italia è uno degli atti più eversivi che si possano commettere in questo periodo cupo della Repubblica. E’ complicato, certo, provare affetto, rispetto, attaccamento per un Paese che forse non è mai stato così decadente, dove politica e partiti contribuiscono spesso a rendere più fragile l’idea di legalità, dove sembra che indifferenza e ostilità prevalgano sulla solidarietà, dove gli egoismi (individuali o di gruppo) e la difesa dei privilegi uccidono l’interesse nazionale, l’idea stessa che possa esserci comunità.
Eppure il voler bene all’Italia, oltre che un gesto eversivo, proprio in questa fase del nostro cammino di nazione è un forte investimento per il futuro, uno stimolo a riscoprire il valore e la centralità di un interesse pre-politico e non ideologico, a superare corporativismi, classismi, familismi e quell’incessante inquinamento della cosa pubblica da parte di chi opera esclusivamente per i suoi interessi privati.
Voler bene all’Italia non è il volemose bene, il consociativismo becero che ha caratterizzato (ieri) parte della politica italiana. Non è senza ombra di dubbio il partito dell’amore che (oggi) qualcuno propaganda. E non è (almeno non lo è completamente) nemmeno quel sentimento – indubbiamente positivo – che anima la spontanea protesta antiberlusconiana. Il voler bene all’Italia non è, non può essere, insomma, solo la voglia di superare Berlusconi, ma l’aspirazione e l’impegno a mettere in un angolo quel Paese che a destra e sinistra sta dando il peggio di sé, disprezza le regole, alimenta quella patologia tutta italiana che intreccia illegalità, abusi, disobbedienza fiscale, corruzione.
Eppure il voler bene all’Italia, oltre che un gesto eversivo, proprio in questa fase del nostro cammino di nazione è un forte investimento per il futuro, uno stimolo a riscoprire il valore e la centralità di un interesse pre-politico e non ideologico, a superare corporativismi, classismi, familismi e quell’incessante inquinamento della cosa pubblica da parte di chi opera esclusivamente per i suoi interessi privati.
Voler bene all’Italia non è il volemose bene, il consociativismo becero che ha caratterizzato (ieri) parte della politica italiana. Non è senza ombra di dubbio il partito dell’amore che (oggi) qualcuno propaganda. E non è (almeno non lo è completamente) nemmeno quel sentimento – indubbiamente positivo – che anima la spontanea protesta antiberlusconiana. Il voler bene all’Italia non è, non può essere, insomma, solo la voglia di superare Berlusconi, ma l’aspirazione e l’impegno a mettere in un angolo quel Paese che a destra e sinistra sta dando il peggio di sé, disprezza le regole, alimenta quella patologia tutta italiana che intreccia illegalità, abusi, disobbedienza fiscale, corruzione.
E nel fare questo bisogna pensare non solo al rifiuto dell’Italia che c’è, ma elaborare una proposta, contribuire alla costruzione dell’Italia che potrebbe esserci.
"Questa nostra terra, dove ogni valle e ogni cima ha un nome di famiglia, dove, a scavare colline, ci si accorge che sono tombe sulle quali noi siamo cresciuti, senza che mai si sia rotto nei millenni il filo della parentela con quei sepolti. Allora, nasce dentro di noi come un intenerimento e si sente allora, come non mai, di volere bene, ma molto bene, all'Italia". (Pietro Calamandrei).
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