I sorrisi degli operai della Fincantieri hanno occupato le pagine dei giornali. Volti di gioia per l’esito dell’incontro a Roma tra governo e azienda, con il ritiro del piano di ristrutturazione da parte dell’Ad Giuseppe Bono. Soddisfatti per il rilancio della trattativa su Castellammare di Stabia anche i piccoli imprenditori dell’indotto associati a Unimpresa, guidati da Donato Lardieri, responsabile Lavoro, e Vincenzo Longobardi, delegato agli Affari sociali e Previdenza. Insieme rappresentano 62 delle 70 imprese che operano nel cantiere navale di Castellammare di Stabia. Ed è da loro che giunge un suggerimento per il futuro di Fincantieri: abbandonare il business delle navi di lusso. «La forza industriale del gruppo dovrebbe essere concentrata sui segmenti high-tech, senza illusioni fuorvianti sulle costruzioni low cost» spiega Longobardi.
Eppure a Castellammare, oltre ai due pattugliatori, le uniche commesse ipotizzate sono al momento le 4 bulk carrier della Deiulemar, che non tecnologie avanzate...
«Noi però abbiamo già fatto presente che gli andamenti del mercato vanno verso una impressionante crescita della domanda mondiale in alcuni segmenti hi-tech, quali ad esempio le navi per trivellare, o quelle per trasportare il petrolio, il gas e le piattaforme off-shore».
Il futuro di Castellammare e di Genova, quindi, non sarebbe necessariamente legato alle navi da crociera? «Il settore che ho menzionato andrà crescerà proporzionalmente alla capacità produttiva dei paesi emergenti. Se Fincantieri non si apre a questo mercato, lo lascia ad altri».
Voi avete sollevato anche un problema di costi degli organici.
«Certo, ormai i lavoratori dell’indotto rappresentano una realtà consistente per Fincantieri. Si pensi che a un operaio del cantiere corrispondono quattro dell’indotto. Dei 2.500 lavoratori di Castellammare, solo 646 sono dipendenti Fincantieri, tutto il resto è legato alle imprese esterne. E si tratta di operai altamente qualificati, tubisti, saldatori, addetti ai sistemidi pulizie, ma anch’essi dovrebbero essere accompagnati da una politica di “adeguamento” degli organici, di ripristino delle professionalità che si sono ridotte, o addirittura disperse, nel rapido processo di ricambio della forza lavoro che si è verificato negli anni precedenti. Quanto ai costi, oggi le ditte d’appalto raschiano il fondo del barile sia in termini di compressione dei costi che di assoggettamento dei dipendenti a condizioni inaccettabili .Si è raggiunta una soglia critica oltre la quale l’indotto non è più in grado di partecipare con un apporto qualitativo adeguato alla costruzione delle navi. Non si è invertita questa tendenza e l’intero sistema produttivo di Fincantieri, che è fondato su un mix di risorse interne ed esterne, è entrato inevitabilmente in una grave crisi».
Eppure a Castellammare, oltre ai due pattugliatori, le uniche commesse ipotizzate sono al momento le 4 bulk carrier della Deiulemar, che non tecnologie avanzate...
«Noi però abbiamo già fatto presente che gli andamenti del mercato vanno verso una impressionante crescita della domanda mondiale in alcuni segmenti hi-tech, quali ad esempio le navi per trivellare, o quelle per trasportare il petrolio, il gas e le piattaforme off-shore».
Il futuro di Castellammare e di Genova, quindi, non sarebbe necessariamente legato alle navi da crociera? «Il settore che ho menzionato andrà crescerà proporzionalmente alla capacità produttiva dei paesi emergenti. Se Fincantieri non si apre a questo mercato, lo lascia ad altri».
Voi avete sollevato anche un problema di costi degli organici.
«Certo, ormai i lavoratori dell’indotto rappresentano una realtà consistente per Fincantieri. Si pensi che a un operaio del cantiere corrispondono quattro dell’indotto. Dei 2.500 lavoratori di Castellammare, solo 646 sono dipendenti Fincantieri, tutto il resto è legato alle imprese esterne. E si tratta di operai altamente qualificati, tubisti, saldatori, addetti ai sistemidi pulizie, ma anch’essi dovrebbero essere accompagnati da una politica di “adeguamento” degli organici, di ripristino delle professionalità che si sono ridotte, o addirittura disperse, nel rapido processo di ricambio della forza lavoro che si è verificato negli anni precedenti. Quanto ai costi, oggi le ditte d’appalto raschiano il fondo del barile sia in termini di compressione dei costi che di assoggettamento dei dipendenti a condizioni inaccettabili .Si è raggiunta una soglia critica oltre la quale l’indotto non è più in grado di partecipare con un apporto qualitativo adeguato alla costruzione delle navi. Non si è invertita questa tendenza e l’intero sistema produttivo di Fincantieri, che è fondato su un mix di risorse interne ed esterne, è entrato inevitabilmente in una grave crisi».
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