Le preoccupazioni non sono prive di fondamento.Come attestato da numerose inchieste la globalizzazione ha realmente condotto negli Usa ad un peggioramento delle condizioni lavorative in alcuni settori e tipologie di imprese.L'esempio canonico e il colosso della distribuzione Walmart,che paga salari più bassi della soglia ufficiale di povertà senza offrire peraltro alcuna tutela sociale.Se nell'immaginario collettivo il punto di riferimento diventa Walmart come possiamo stupirci se il contratto nazionale e diritti acquisiti diventano una sorte di linea del Piave per molti lavoratori e le loro famiglie?
La sfida è trovare altri punti di riferimento,esperienza di conciliazione virtuosa fra le esigenze di competitività delle imprese e le aspirazioni economiche e sociali dei lavoratori. Una ricerca appena pubblicata negli Stati Uniti fornisce preziose indicazione proprio in questa direzione "Profit at the bottom of the ladder,Harvard University,press 2010".Frutto di sei anni di studio, il libro illustra una gran buona quantità di "buone pratiche",osservate in nove Paesi in diversi settori produttivi.
Qualche esempio diretto,Costeo,diretto rivale di Walmart nella distribuzione all'ingrosso,ha introdotto qualche anno fa uno schema innovativo di formazione e carriera dei propri addetti. Vi è stato subito un salto di qualità nei servizi alla clientela.I dipendenti Costeo oggi guadagnano quasi il doppio di quelli di Warmat.America Apperel,grande impresa tessile,ha puntato su incentivi retributivi,ma anche sulla salute e prevenzione sanitaria di chi lavora ai telai (clinica di stabilimento,pause periodiche con esercizi di fisioterapia): l'approcio esplicitamente sweatshop free (privo di regole e pratiche sfruttatrici) ha consentito a questa azienda di reggere senza problemi di concorrenza cinese.Anche alla Novo-Nordisck (farmaceutici) operano macchinari all'avanguardia sotto il profilo ergonomico.Uno schema di incentivi monetari incoraggia inoltre gli operai a dare suggerimenti su come migliorare il processo produttivo.L'azienda stima che lo schema abbia prodotto un'incremento di efficienza pari al 50%.La canadese Great Little Box (imbalaggi) ha sperimentato a sua volta un programma di "rivelazioni di buone idee" che può fruttare ai dipendenti un bonus di 2500 dollari per idea (grande successo, anche in termini di profitti).
In linea con le attese della womenmics,molte aziende hanno puntato su pratiche e servizi di conciliazione per le dipendente con figli.L'australiana Autoliv (componente per auto) ha visto crollare i tassi di assenteismo a seguito di una nuova politica aziendale su congedi e flessibilità dei tempi di lavoro, quasi sempre con effetti economici molto positivi.
La ricerca insiste su una caretteristica comune di tutti i casi esaminati: le aziende non si sono limitate a incentivare manager e quadri intermedi. Hanno coinvolto la base larga dei propri dipendenti, a cominciare dagli addetti alle linee di montaggio. Il quadro che emerge è incoraggiante e rassicurante proprio perchè combina competitività e inclusione: più profitti a partire dal fondo della scala, ma anche per tutti quanti si trovano in fondo(e hanno concrete opportunità di salire).
Esempi sparsi e disordinati,si dirà, incapaci di sostituirsi a Walmart nell'immaginario di lavoratori sempre più insicuri e di imprenditori sempre più oppressi dal peso dei costi. Come si può inbboccare la strada della competività inclusiva se i mercati finanziari e le borse non tengono in nessuna considerazione l'investimento in capitale umano e premiano solo i tagli e le ristrutturazioni? Le autrici della ricerca sono ben consapevoli di questi problemi è propongono alcune soluzioni. Il messaggio finale è però ottimista: esiste una strada sweatshop free per i sistemi produttivi dei paesi sviluppati.Ma possiamo solo inbbocarla se imprenditori e sindacati ci credono e ci provano seriamente:nel rispetto dei loro ruoli e del loro contrasto d'interessi, però collaborando su alcuni obbiettivi strategici, con inventiva e pragmatismo.
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